EROE

«Essere grande e grosso non significa essere intelligente» gli aveva sempre ripetuto il vecchio, e lui, Jacob, nonostante tutto, come figlio non era mai stato abbastanza.

La rabbia nasceva anche da lì, da quel sentirsi sempre fuori posto, inadatto, sbagliato, dal vedersi sempre superato dal figlio degli altri, dall’amico, dal cugino. Ma Jacob non era stupido e sapeva che presto o tardi qualcosa sarebbe successo e tutto sarebbe cambiato.

Eccolo il cambiamento. Doveva avvenire quel giorno, il giorno del suo diciottesimo compleanno.

Scese al piano di sotto senza far rumore, attraversò il piccolo corridoio osservando la madre piangere in cucina, sgattaiolò fuori e si avviò rapidamente verso il capanno degli attrezzi. Dentro c’era suo padre che trafficava con qualcosa. Jacob sentiva il rumore fin da fuori.

Entrò e richiuse immediatamente la porta. Il pavimento di tavole di legno marcio era umido di un qualche liquido puzzolente simile al gasolio o alla benzina. In fondo, dietro un divisorio di compensato, c’era suo padre che beveva dalla bottiglia di whisky e agitava senza successo un trapano vecchio, facendo buchi a caso nella parete del divisorio. Un gesto senza senso, come tanti altri ne aveva fatti quel bastardo.

«Che vuoi?» grugnì Friedrich con la voce impastata. Jacob non rispose e continuò a fissare suo padre con gli occhi accesi dalla rabbia.

«Ti ho chiesto che vuoi, stupido idiota!» alzò la voce. Lo guardava da sotto in su e distingueva a malapena la forma del corpo di suo figlio che perdeva definizione e si sdoppiava.

Jacob rimase ancora in silenzio e allungò la mano per prendere la bottiglia vuota che suo padre aveva appena posato sul ripiano alle proprie spalle.

(Tratto dal racconto EROE, “Vindica te tibi – Quattro storie di vendetta“, Raul Londra)